Di quei terribili novanta secondi di inferno ricordo il boato. E poi il silenzio di polvere, attonito e sordo. Era una domenica di fine novembre ma la temperatura era alta e il cielo rosso. Era il 1980. Erano le 19.34. La memoria del terremoto del 23 novembre, il sisma che fu poi denominato dell’Irpinia, è come un taglio di cesoia. Perché quella tragedia rappresenta per tutti noi della Campania, e più in generale del Mezzogiorno d’Italia, un evento spartiacque. Nella nostra coscienza e nella nostra mente c’è un prima ed un dopo. Prima del terremoto e dopo il terremoto. Anche per me è stato così. Negli anni successivi, quando ti capitava di raccontare un episodio qualunque, la prima domanda era: ma è successo prima o dopo il terremoto?
Quella sera io ero nel mio ufficio nella sede del Festival, in piazza Umberto I in un palazzo antico della famiglia Andria messomi gentilmente a disposizione gratuitamente dal Dott. Generoso Andria. Oggi questo palazzo è sede di un istituto di credito. Di fianco c’era il Cinema Moderno, oggi sede di un’azienda telefonica, di cui ero il gestore. Proiettavamo “Lo squalo”, un successo di botteghino senza precedenti. L’urto del sisma mi fece comprendere da subito che era accaduto qualcosa di davvero terribile. Mi gettai immediatamente per strada. Volevo capire cos’era accaduto, soprattutto alle persone che erano in sala. Appena fuori ho percepito un senso di sgomento misto alla paura, una sensazione difficile da descrivere e mai provata dopo. Giffoni Valle Piana ebbe un po’ di danni, qualche ferito, poche case inagibili ma fortunatamente nessun ecatombe come accaduto per le vicine Valva, Colliano o, ancora, per Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Conza della Campania o San Mango sul Calore.
Il Festival nel 1980 aveva dieci anni. Nato nel 1971, aveva un raggio d’azione molto più limitato rispetto ad oggi, come era normale che fosse. Ma devo dire che da quella tragedia ho iniziato a gettare le basi della splendida community di oggi. Misi in piedi proprio dal Festival, la cui sede fu una specie di quartier generale dell’emergenza, una comunità in cui solidarietà e amicizia si mischiavano con operatività e organizzazione degli aiuti.
Fu probabilmente in quell’occasione così tragica che ho compreso a pieno il valore delle relazioni come occasione di scambio e di crescita personale e collettiva. La sede del Festival aveva un apparecchio telefonico e fu con quello che riuscii a comunicare con tutto il mondo. Ricordo che allungai il filo telefonico, lo feci passare dalla finestra del mio ufficio fino alla piazza e poggiai l’apparecchio su di un tavolino e così diventò il megafono della nostra collettività. Su quel telefono arrivavano ogni giorno decine di chiamate per avere notizie, per essere aggiornati, da ogni parte del mondo. D’altronde era l’unico canale di comunicazione esistente. Il Municipio era chiuso e chiusa era anche la Caserma dei Carabinieri che allora era in via Scarpone.
Ricordo ancora che dopo pochi minuti dalla terribile scossa, dalla fontana della Piazza che tutti voi conoscete iniziò a sgorgare acqua marrone scura. Decisi di mettermi in macchina e con un megafono invitai tutti di non bere perché certamente non era potabile. Chiamai a raccolta alcuni giovani, amici medici appena laureati, proprietari dei pullman che ogni giorno conducevano le operaie e gli operai nella piana del Sele. Quei bus furono parcheggiati in piazza e divennero il primo rifugio per gli anziani. Io stesso ho dormito per dieci giorni davanti al cinema Moderno in auto senza mai tornare a casa.
Dopo pochissimi giorni, organizzammo i primi aiuti. Insieme al sindaco dell’epoca, Valentino Fortunato, misi in movimento tutti i contatti che in quei primi dieci anni avevo stabilito. Come dimenticare la bontà della città di Torino, che con a capo l’allora Assessore alla Gioventù, Fiorenzo Alfieri, arrivò a Giffoni con una delegazione e un tir pieno di coperte e viveri per la primissima emergenza che servirono non solo per i giffonesi ma anche per gli abitanti dei Comuni limitrofi. Ricordo le file di persone pronte a ricevere questi viveri; dagli indumenti al latte, li distribuii tutti.
Giffoni non ebbe morti, ma alcuni feriti delle frazioni superiori.
Dovevo agire presto e subito e allora decisi di chiamare il Ministero degli Interni. Parlai con il Sottosegretario Angelo Sansa che era mio amico e lo sollecitai a prendere a cuore le sorti di Giffoni. Fui ascoltato e i feriti, un paio di persone morte per infarto, e ulteriori abitazioni danneggiate, permisero al Ministero di inserire il comune nell’elenco di quelli gravemente danneggiati.
Non fu cosa da poco. Alcuni giorni dopo sempre dal Ministero degli Interni, da me sollecitato, arrivarono le prime cinquanta roulotte a disposizione di quanti avevano le abitazioni danneggiate. Il festival come racconto ebbe una funzione primaria e poi determinante per i successivi sviluppi: Accese una luce su Giffoni e attivò la solidarietà nazionale ed internazionale per la nostra gente. Dagli amici francesi a da quelli del Belgio arrivarono tanti aiuti soprattutto per i bambini delle scuole.
In quei giorni ho svolto anche un inedito ruolo: quello di cronista e giornalista. Chiamai la Rai e chiesi aiuto. Avevo necessità di raccontare quello che accadeva. Ogni notte mi collegavo nell’ambito della trasmissione “Il giornale della mezzanotte”, servizio Rai che andava in onda in tutto il mondo. Ricordo con stima e affetto il capo redattore dell’epoca con cui mi collegavo, Augusto Milana. E’ stata l’occasione per raccontare quello che accadeva in quelle drammatiche ore e per fare arrivare la mia voce ovunque. Dopo circa un mese ho voluto raccogliere le mie testimonianze in un dossier che ho stampato nottetempo in una tipografia locale e a cui ho voluto dare il titolo “La nostra tragedia”(vedi foto). Compresi in quell’occasione che La comunicazione era determinante. Capii meglio la sua funzione e le sue dinamiche. Una lezione che in questi quarant’anni mi è stata utilissima.
Dopo 25 giorni trascorsi ad organizzare e definire il piano dell’emergenza lasciai tutto nelle mani degli amministratori e dei tecnici comunali che finalmente si erano fatti vivi..
Da quei giorni ho tratto un insegnamento di vita importantissimo: da operatore culturale a costruttore di comunità. La nostra consapevolezza di avere un ruolo sociale importantissimo si rafforzò proprio in quei giorni. Giffoni già aveva una sua carta etica e dei valori che in quelle settimane così difficili si arricchì di contenuti che ancora oggi hanno un grande senso ed un grande rilievo per noi e per tutti i Giffoner.
Giffoni Valle Piana, poi, rientrò nel perimetro del cosiddetto cratere e, chi riportò danni per il terremoto, ottenne numerosi ristori.
Io invece lasciato il palazzo in piazza perché inagibile presi tutto ciò che era possibile del festival e mi trasferii a casa che da quel momento e per tre anni diventò l’ufficio e la sede.
A volte si ha voglia di oscurare il passato, di cancellarlo dalla memoria, ma questa per me è stata ed è, una pagina straordinaria della mia vita che racconta meglio di altro il viscerale amore per il mio paese. Poi le delusioni non mancano mai, ma questo fa parte della vita. Seguì, poi, la ricostruzione in Campania ed in Basilicata. Fu un’operazione lenta e complessa. È un capitolo un po’ dolente di cui però oggi non voglio parlare. Si poteva fare molto di più e meglio. Tante cose accadute rientrano nel campo delle occasioni sprecate per il Sud Italia. Ma lascio ad altri le letture storiche e le analisi. Oggi è il Giorno della Memoria e del ricordo di chi perse la vita sotto le macerie, di chi ha patito perdite, di chi ha dovuto ricostruire in seguito alla scossa non solo le case, ma un’intera esistenza.
Tra la polvere di quella sera, però, si è accesa una fiammella che ci ha fatto arrivare fino a qui. La fiamma della solidarietà e della speranza che brucia ancora forte nel cuore di milioni di persone che amano Giffoni.
La storia poi vi conferma che nel 1981 l’undicesima edizione si tenne regolarmente, un po’ in modo diverso. 40 anni fa non mi sono arreso ad un immane tragedia e quest’anno ho fatto altrettanto in una situazione oggettivamente complicata e difficile celebrando la 50ma edizione del festival.